Con il titolo «L’imperfetto del carabiniere» è uscita nel «Domenicale» del «Sole 24 ore» il 27 gennaio scorso, la prima puntata di una rubrica della scrittrice Serena Vitale. Che, rinnovando (inconsapevolmente?) una nota e magistrale pagina di Calvino, ci cita un verbale dei carabinieri, così vero da sembrare costruito ad arte: «Alle ore 3.43 circa del 16 dicembre la signora V.S. tornava nella propria abitazione dopo aver giocato in quella dello scrittore G. Pontigia e trovava la porta d’ingresso socchiusa. Dallo spiraglio scorgeva uno sconosciuto che teneva in braccio il gatto di nome Dante». A interessare la scrittrice, non è l’inutile precisione dell’appuntato, che si interessa anche delle generalità del gatto Dante. E solo marginalmente nota l’errore nel riportare il cognome di Giuseppe Pontiggia, da scriversi con due «g». A incuriosirla è l’uso dell’imperfetto, di cui non sa darsi ragione, al punto che «alle 23.48 circa del 30 dicembre» telefonava a un collega, che sapeva nottambulo, per chiedergli lumi.
Il collega, ancorché nottambulo, non deve aver molto apprezzato la molestia notturna; e infatti, diamo ancora la parola alla scrittrice, «non si è stupito, il mio dotto linguista: «È certamente un caso particolare, - ha spiegato - del cosiddetto imperfetto di irrealtà o fantastico, definito anche "pittoresco", usato quando una vicenda viene filtrata attraverso la fantasia». Fantasia? In un rapporto dei carabinieri?». Ha ben ragione la Vitale a stupirsi di questa risposta che non colpisce certo nel segno. Si possono fare due ipotesi: ha disturbato il collega mentre era assopito, o era concentrato in qualche altra attività, e lui le ha dato, allora, la prima risposta che gli è venuta in mente, per poter troncare subito l’indesiderata richiesta; oppure, irritato, ha usato l’arma della presa in giro e ha messo alla prova la credulità della sua interlocutrice, dando una risposta palesemente assurda. (Mi accorgo ora che ci sarebbe una terza ipotesi: che il collega nottambulo fosse non dotto, ma ignorante e presuntuoso).
In realtà, questo uso carabinieresco (ma anche magistresco) dell’imperfetto non ha nulla a che fare con la fantasia, ha a che fare con la narratività: è infatti un tipico caso di imperfetto narrativo (effettivamente detto anche «pittoresco»), simile a quello che si trova spesso in letteratura (per es. in Fogazzaro: «Quella stessa sera, alle dieci in punto, l'ingegnere Ribera batteva due colpi discreti alla porta del signor Giacomo Puttini in Albogasio Superiore. Poco dopo si apriva una finestra sopra il suo capo e vi compariva al chiaro di luna il vecchio visetto imberbe del sior Zacomo". L’imperfetto sta al posto di un perfetto (cioè di un passato prossimo o di un passato remoto) e rappresenta degli eventi che si succedono ordinatamente nel tempo. Normalmente diversi eventi rappresentati dall’imperfetto si presentano, invece, come simultanei: «Gianni guardava la tv, sorseggiava un aperitivo e aspettava che arrivasse Lucia».
Ma allora, esiste l’imperfetto di fantasia? Certo, esiste anche questo, quando ad esempio una vicenda viene rivissuta attraverso la fantasia: «Gianni si immaginò di essere dotato di poteri speciali. Volava sopra la città, salvava le donne in pericolo, riceveva la loro gratitudine», oppure in altri casi di irrealtà, come «perché non hai fatto come me che non timbro mai il biglietto? Sì, e poi saliva il controllore, e sai che multa!», oppure «se sapevo che alla festa c’era anche Claudia non venivo mica», oppure ancora, nei giochi dei bambini: «Facciamo un gioco. Io ero Superman ma perdevo i poteri. Ma tu correvi in mio aiuto e mi salvavi».
L’imperfetto ha, insomma, tanti usi, oltre a quello principale di indicare eventi nel loro svolgersi o nella loro abitualità; l’importante è non confonderli. Altrimenti si finisce per dire che i verbali dei carabinieri sono fantastici. Un’asserzione difficile da sostenere!
Michele A. Cortelazzo
«Corriere del Ticino», mercoledì 13 febbraio 2008, p. 29 |