Max Pfister
(Universität des Saarlandes)

IL MESTIERE DI UN LESSICOLOGO*


Lessicologia e lessicografia sono espressioni che si riferiscono a un ramo moderno della nostra scienza. II Dictionnaire de linguistique Larousse le separa con esattezza: «La lexicographie (technique de la confection des dictionnaires) est largement antérieure à la lexicologie, démarche scientifique très récente».

Detto più semplicemente, si può parlare di lessicologia solo da quando sono iniziate le ricerche comparative del lessico, cioè dallo prima metà del sec. XIX; per quel che riguarda gli studi romanzi all'incirca da Diez. Ciò non significa che prima non ci fossero lessicologi, ma per lo più si trattava di lessicografi che, in parte, affrontavano anche criticamente il materiale raccolto, anche sa non sempre in modo vantaggioso per la scienza. Basti pensare, per esempio, a Redi e a Ménage.

II titolo della mia relazione mi pare giustificato, perché Manlio Cortelazzo è lessicologo e lessicografo. Lo ammette lui stesso in un ultimo articolo rivelatore (Esperienze di un lessicografo): «ma confesso che il settore della linguistica, che mi è sempre stato più congeniale è lo studio del lessico». È Amia intenzione, ora, illustrare dapprima alcune differenze o analogie tra lessicografi medievali e moderni lessicologi.

1. La redazione di un dizionario moderno - come per esempio il DELI o il dizionario già progettato sul veneziano del secolo XVI - mi sembra essere meno pericoloso di quanto non fosse ancora, per esempio, nel secolo XVII. Quando Widerholt, il lessicografo francese, nel 1669 pubblicò privatamente a Ginevra il suo importante dizionario francese, poiché Luigi XIV avevo concesso all’Académie française il monopolio per il suo vocabolario francese, ciò non accadeva senza pericolo. Il trasporto c1andestino del dizionario fu scoperto, 1000 dizionari furono confiscati e bruciati, la casa editrice andò in fallimento, il traditore fu giustiziato.

2. Nel medioevo, probabilmente, un 1essicografo poteva concentrarsi meglio che un lessicologo dei giorni nostri, il quale tra riunioni, commissioni, congressi, partecipazione a convegni dall'Ungheria alla Finlandia viene sottratto a1 suo lavoro al dizionario. Du Cange lavorava in convento, e anche il lavoro di un Trévoux si è sviluppato in un monastero. Non per nulla il collega Corte1azzo nel 1971 mi ha scherzosamente dato il consiglio, in spirito di amicizia e solidarietà, di ritirarmi subito in convento per la redazione del LEI. Di certo, un simile consiglio può essere dato solo da chi si sia già trovato a considerare per sé i vantaggi di una simile decisione.

3. Gli umanisti compilatori di dizionari erano famosi, e per alcuni ci furono onori e cariche pubbliche: penso a Nicot, divenuto famoso non solo per l'introduzione della pianta del tabacco (Nicotina) in qualità di ambasciatore francese alla corte spagnola, ma anche come importante autore di dizionari. Oggi tutto ciò è più difficile, a meno che uno non si metta in luce come star, vedi Battisti, protagonista principale nell'Umberto D di Vittorio de Sica, o come uomo politico, vedi De Mauro. Come e successo con Calepino nel XVI secolo o con Bloch-Wartburg nel XX, il nome Cortelazzo-Zolli sta trasformandosi in un appellativo. Quindi e consigliabile raccogliere le prime attestazioni di Cortelazzo-Zolli per una nuova edizione di Mig1iorini Dal nome proprio al nome comune.

II numero dei padovani famosi che hanno visto il proprio nome trasformarsi in nome comune non è molto alto, senza considerare, naturalmente, Sant'Antonio. Di santi, poi, ce ne sono almeno due, Sant'Antonio abate e Sant'Antonio da Padova. Nell'ambito degli appellativi i due devono dividersi fama e gloria. II porcello di 5ant'Antonio non si riferisce al padovano. In cambio le denominazione di piante, soprattutto quelle del giglio bianco, si rifanno a Sant'Antonio da Padova.

Per Cortelazzo la cosa è più semplice: il Cortelazzo-Zolli si riferisce unicamente a dizionari etimologici e non ha bisogno di temere la concorrenza con Calepino, dal momento che, nel caso di quest'ultimo, si sono sviluppati alcuni spostamenti semantici dal significato di dizionario a quello di volume di gran mole e molto indigesto" o di "grosso quaderno".

Per terminare confronti e analogie tra glossatori medievali e lessicologi moderni, posso citare Giuseppe Giusto 5caligero, secondo cui dedicarsi a un dizionario e fatica più grave e più dura di ogni pena, più del carcere a vita, più dello spossante lavoro nelle miniere: Omnes poenarum facies hic labor unus habet. 5i potrebbe anche citare la definizione dell'autore di un dizionario etimologico inglese del 1755, Samuel Johnson: «lexicograph: a writer of dictionaries, a harmless drudge» ("lessicografo: un redattore di dizionari, un somaro ingenuo").

5e consideriamo l'opera lessicale di Manlio Cortelazzo spiccano alcuni settori che hanno suscitato in modo particolare il suo interesse: vocaboli di linguaggi settoriali entrati nella lingua comune: mitragliatrice, recluta, criminale di guerra (probabilmente ricordi personali) costituiscono i primi articoli pubblicati ancora durante la guerra. Poi seguono numerosi articoli nella rivista «Lingua Nostra» che si riferiscono a singole parole della lingua standard: casacca, anagrafe, a bizzeffe, ghetto, ecc. Questo interesse trova il suo coronamento nell'opera grandiosa: il Dizionario Etimologico della Lingua Italiano, opera realizzata insieme con Paolo Zolli (tre volumi usciti finora).

Già a partire dal 1946 Manlio Cortelazzo rivela un interesse particolare per i contatti tra lingue romanze e greco nell'articolo L'italiano a Corfù. Di alcuni recenti scambi linguistici italo-corfioti («Lingua Nostra» VII, 1946, 66-69). È un interesse che si approfondirà continuamente. Mi limito a citare alcuni punti decisivi:

1959: L'elemento romanzo nei portolani greci

1966: I più antichi prestiti bizantini nel veneziano

1970: il lavoro fondamentale: L'influsso linguistico greco a Venezia

1972: Nuovi contributi alla conoscenza del grechesco

1974: I rapporti linguistici tra Venezia e la Grecia prima della caduta di Costantinopoli

1977: II contributo del veneziano e del greco alla lingua franca

Personalmente spero che questo primo amore per l'elemento greco nell' italiano raggiungerà il suo culmine col volume degli elementi greci del LEI di cui ho chiesto a Cortelazzo di assumere la responsabilità.

Un altro centro di interesse riguarda il vocabolario marinaresco. Posso ricordare L'elemento romanzo nei portolani greci nel 1959, poi

1960: Le rotte mediterranee del lessico nautico e peschereccio in un nuovo atlante linguistico

1964: Ittionomia veneta

1965: Vocabolario marinaresco elbano

1970: Notizie popolari su alcuni animali marini

1971: Saggio dell'Atlante linguistico mediterraneo, carte 61-69 (i venti), carte 560-575 (gli sparidi), carta 29 (un esempio di carta similare)

1976: La cultura mercantile e marinaresca

1977: La carta numero 541 dell'ALM: la spigola

1983: L'inchiesta marinara a Sestri Levante

Si capisce che le inchieste, condotte nell'isola d'Elba e sul litorale ligure e per l'Atlante linguistico mediterraneo formano la solida base per tutti questi studi e attestano anche l'amore per la vita marinara.

Un altro centro dell'interesse scientifico di Manlio Cortelazzo è costituito dalla cura e dalla ricerca per il dialetto veneto e il veneziano, l'affetto per la cultura veneta, per la terra nativa. Il mio amico Holtus parlerà degli studi veneti e dell'opera dialettologica. Ma non posso tacere i contributi, essenziali, che si riferiscono alla lessicologia veneta e veneziana:

1961: L'eredità di Federico Contarini. Gli inventari della collezione e degli oggetti domestici. Glossario.

1962: Antichi proverbi padovani

1964: Ittionimia veneta

1972: II linguaggio schiavonesco nel Cinquecento veneziano; Tracce dell’antico dialetto veneto di Pirano; Il dialetto veneziano fino alla morte di Dante

1975: Voci zingare nei gerghi padani

1976: Contributo delle letteratura schiavonesca alla conoscenza del lessico veneziano

1977: Il contributo del veneziano e del greco alla lingua franca

1978: Un dizionario veneziano del dialetto e della cultura popolare nel XVI secolo

1979: Guida ai dialetti veneti, con molti contributi lessicali

Le vaste conoscenze linguistiche del festeggiato si rispecchiano soprattutto negli studi di interferenze tra lingue non romanze e l'italoromanzo e nello studio di gerghi e lingue settoriali: gergo della guerra (1945), gergo militare (1953), gergo marinaro e gergo militare (1957), voci nautiche turche (1961), corrispondenze italo-balcaniche nei prestiti dal turco (1965), una scheda gergale (1965), plurilinguismo celebrativo (1971), il linguaggio schiavonesco nel Cinquecento veneziano (1972), voci zingare nei gerghi padani (1975) contributo della letteratura schiavonesca alla conoscenza del lessico veneziano (1976), note sulle voci albanesi nel gergo dei ramai (1977).

Ma Manlio Cortelazzo non è soltanto un lessicologo e un dialettologo che lavora nella sua torre d'avorio; in modo discreto suscita e favorisce anche l'interesse, direi l'amore per il dialetto e per la cultura della sua regione in un pubblico più vasto; penso ai numerosi articoli apparsi nel «Mattino di Padova» e soprattutto alla rubrica Le parole di casa nostra. Per gli anni 1978 e 1979 si tratta di 85 interventi di cui sono a conoscenza.

È anche questo un contributo non trascurab11e per una educazione linguistica estesa ad un pubblico al di fuori di quello universitario. Naturalmente non ho bisogno di illustrare qui l'impulso dato agli studi di lessicologie dall'attività accademica del prof. Cortelazzo: tutti conoscono il grande numero di allievi, di colleghi e amici che lavorano in campo lessicologico che si sentono stimolati e incoraggiati dall'esempio di Manlio Cortelazzo. Mi riferisco ai contributi nei volumi Aree lessicali ed Etimologia e lessico dialettale, ai lavori lessicali di Carla Marcato, di Alberto Zamboni, di Paolo Zolli e di altri.

Diventa ora più difficile cercare di caratterizzare il prof. Cortelazzo come lessicologo, cioè delimitare il suo metodo e i suoi risultati rispetto ad altri lessicoiogi del nostro secolo. Conosco troppo poco Battisti e Alessio per poter tentare dei giudizi; Meyer-Lübke è mio conterraneo ma, sfortunatamente, non l'ho conosciuto di persona; quanto alle differenze con il mio maestro Walther von Wartburg emergeranno nel corso di questa mia esposizione. Ma quando paragono Cortelazzo con lessicologi famosi come per esempio Rohlfs, una caratteristica risalta evidente: la vena pungente, polemico-satirica che coglie il segno e invita al sorriso. Difficilmente posso immaginarmi come Cortelazzo possa attaccare in una pubblicazione, stampata a proprie spese, nello stile delle lettere persiane, il sostenitore di etimologie diverse. In questa lettera persiana sarcastica del 1960, col titolo Scienza nuova ou décadence linguistique, Rohlfs paragona un collega etimologista a Ménage, che nel 1669, nelle Origini della lingua italiana, spiegava l'it. e spagn. alfana da EQUA eka > aka > haka > faka > fakana > fana e poi con l'agglutinamento dell'articolo a alfana. Rohlfs proponeva al suo avversario Harri Meier di far risalire il fr. main gauche da manu gallica corrispondente a RUPICA che avrebbe come risultato fr. roche, it. rocca.

Un tal rimprovero non si potrebbe mai riferire alle caute etimologie di Cortelazzo né egli potrebbe scoccare una tale freccia ad altri lessicologi.

Al contrario, egli ha una caratteristica che io non esito a definire cristiana: nascondere la propria lampada sotto il moggio. Ci sono colleghi che volentieri pagano di tasca propria per poter essere citati in bio-bibliografie del tipo Who is Who, e certamente non tralasciano, a proposito delle indicazioni che danno di sé, alcun trattatello, anche quando si tratta di scritti di argomento limitato e con scarsa rilevanza. In tutt'altro modo si comporta l'amico Cortelazzo: con aria cospirativa mi consegna il suo più recente lavoro di lessicologia, 140 pagine, formato libro, con l'invito, per cortesia, a non rendere pubblico questo libro, si tratta solo di un passatempo. Questo modo di agire così riservato fa capire come mai non siano ancora apparse recensioni su questo testo, o perlomeno nessuna di cui io sia a conoscenza.

Tenendo fede all'impegno preso, non renderò pubblico in questa occasione i1 titolo. Mi permetto però di darne alcuni assaggi, particolarmente adatti a mettere in luce Cortelazzo come lessicologo e forse a completare e arricchire la sua immagine, generalmente nota, di scienziato. Mi sia perdonato pertanto se non mi dilungo particolarmente su opere ormai classiche come L'influsso linguistico greco a Venezia o i1 DELI. Al proposito esistono numerosissime recensioni, tutte buone e degne di menzione; per esempio; si può leggere in "Archiv für das Studium der romanischen Sprachen", 1974, pag. 453: "Nella quantità del materiale linguistico offerto e della letteratura utilizzata, i1 libro di Cortelazzo si pone degnamente accanto alle ricerche di Rohlfs sul greco nell'Italia meridionale o di H. Mihaescu sugli influssi greci sul rumeno" o quella del rimpianto Plomteux: "Lo studio del Cortelazzo, già discusso da vari ed autorevoli recensori, costituisce uno dei contributi italiani più concreti all'analisi dei prestiti lessicali".

Meno noti sono però quei contributi lessicali che non sono stati scritti solo in stile accademico per gli addetti agli studi. Per il Prof Cortelazzo una parola non è soltanto la somma di certi fonemi unita ad una serie di semi, no: «le parole sono come certi motivi musicali: poche battute e siamo subito sorpresi da un affollamento di ricordi, di sensazioni, di momenti rievocati con nitidi contorni»: abbandoniamo il campo linguistico ed entriamo in quello direi umano, del vissuto personale.

Sono le osservazioni finali delle singole storiette lessicali che ci svelano il sorriso del lessicologo che non è solo un linguista ma sa ridere del suo proprio mestiere. Quando ha scoperto che l'attestazione della parola bezzi in Pulci risale a una falsa lettura di berzi, errore tramandato dal Tommaseo, esclama con ragione e il sorriso consueto di colui che è consapevole anche dei propri errori: «Eccoci! un semplice errore di lettura ci ha trasmesso per due secoli un'informazione sbagliata. E pensare che il Tommaseo aveva rinunciato a citare dalla stampa, perché troppo scorretta, preferendole due manoscritti!"

Altro esempio. Nella lettura di Vino e pane di Ignazio Silone legge il titolo "sull'inaccessibilità dei cafoni alla politica", rimane perplesso e scrive: "Ed anch'io, confuso do questa tesi (ma come, i maleducati devono restare esclusi dall'attività politica?)", passa alla spiegazione del termine cafone che nel Meridione non ha la connotazione negativa di "tanghero', ma vuol dire semplicemente 'contadino'; quindi la nota ironia finale: "sì, i tempi cambiano, e oggi anche i cafoni possono fare politica."

Quanti lessicologi sono capaci di sorridere descrivendo con ironia il proprio lavoro, il prezioso materiale raccolto in anni di lavoro; parlo del Dizionario veneziano del dialetto e della cultura popolare del XVI secolo: "Cinquantamila schede! Non sono poche per un solo dialetto (il veneziano) e per un limitato periodo (il Cinquecento). Tante ne ho raccolte, leggendo il leggibile di quanto stampato in quel bell'idioma sonante e puro, non meno del toscano: da commedie e poemetti, da canzoni incolte dei cantimbanca ai seriosi diari di cronisti ed artisti, da lettere ufficiali e private relazioni, taccuini di viaggio, ricettari per la bellezza femminile, storie di costume e resoconti di fatti giornalieri». Lasciamo al critico il piacere di un' analisi linguistica di queste frasi per mostrare quali elementi stilistici producono questi effetti ironici in espressioni come "leggendo il leggibile" o il colpo ai toscanizzanti quando parla del veneziano: "bell'idioma sonante e puro, non meno del toscano", o della giustapposizione inconsueta dei taccuini di viaggio e dei ricettari per la bellezza femminile. Viene poi la descrizione di Matteo Bandello che descrive con sottile malizia un gioco delle ragazze padovane: «Facevano le cinque giovanette, quando erano insieme, di molti giochi convenevoli al sesso ed età loro, e tra gli altri giocavano a la forfetta, che intendo che era un gioco di palla che si gettavano l'una a l'altra, e chi la lasciava cader in terra senza poterla nell'aria pigliare, quella s'intendeva aver fatto fallo e perduto il gioco».

Non ho citato questo passo per far conoscere la denominazione di questo gioco. Importa la frase finale che rivela tutto il sorriso del ricercatore capace di fare dell'ironia sul proprio lavoro: «Ecco la cinquantamillesima ed una scheda, che aggiungo malinconicamente, per lasciarla tutta sola, al mio pur ricco - ma non tanto da abbracciare tutto il mondo vivo di un secolo straordinario - archivio, forse troppo ampollosamente intitolato Dizionario veneziano del dialetto e della cultura popolare del XVI secolo». Questo «malinconicamente … pur ricco - ma non tanto da abbracciare tutto il mondo vivo» e l'espressione avverbiale auto-critica «forse troppo ampollosamente intitolato» ci svelano tratti caratteristici del festeggiato: modestia nel1a valutazione di se stesso, di un ricercatore che conosce i propri limiti anche quando lavora in un campo scientifico quasi illimitato come la lessicologia.

La linguistica, e anche la lessicologia, può essere noiosa, direi, quando è praticata col serio metodo tedesco o svizzero; c'e bisogno della leggerezza e della genialità di un italiano come quella del Cortelazzo quando confronta le due parole gattarola e gattaiuola: «Se fossi nella giuria di un premio di bellezza per le migliori parole, confesso che non avrei dubbi: lo assegnerei alla gattarola dell'antipatico romanesco, piuttosto che alla miagolosa gattaiuola della raffinata Firenze».

In questo magnifico libretto che parla del dialetto tra vita e letteratura ogni glossa linguistica è un vero piacere, anche per uno straniero che non può gustare ogni sfumatura dell'espressione linguistica così intensamente come un italiano. Ricordo quella col titolo: "Ma, infine, chi è uno stronzo?" scritta in occasione del processo intentato da Giuseppe Berto contro la scrittrice Dacia Maraini che l'aveva pubblicamente definito uno stronzo. Segue poi il problema linguistico se l'epiteto stronzo conservi la connotazione dispregiativa originaria o no, e l'opinione di un esperto linguista secondo cui stronzo ormai è completamente desemantizzato, giudizio però non accettato dal tribunale. Finemente ironica è l'osservazione finale di Cortelazzo: "Bisognerebbe prendere in seria considerazione la istituzione di un corso accelerato di linguistica moderna ad uso, almeno, dei pubblici ufficiali

Nessuno dubita dell'oggettività e imparzialità di Cortelazzo. Tanto più pungenti spiccano le notazioni ironiche che si riferiscono alla situazione politica attuale. Prendiamo ad esempio la glossa suorina «dial. surêna, che in Romagna significa quell'incenerirsi la carta, a poco a poco "sembrando tante monache le quali col loro lume in mano scorrano pe'l dormitorio andando a letto». Ecco la considerazione personale di Cortelazzo: «quando ho sentito per la prima volta, in Romagna, riferirsi ad una monaca con un gentile suorina, ammiravo, dentro di me, la nobiltà d'animo della dolce signorina, che l'aveva proferito. Ebbi, poi, e non molto tempo dopo, una grande delusione. Perché sentii ripetere suorina da un sanguigno omaccione, che non aveva proprio l'aspetto (né lo era) di un baciapile», e poi la frase finale: «Ma che la Romagna rossa, anarchica e bruciacristi si serva di un nome così tenero, che nemmeno il bianchissimo Veneto ha mai creduto di assumere, ammettiamolo, è sorprendente!»

Ecco alcuni scampoli che, meglio di tutte le mie parole mostrano un'ironia di cui pochi lessicologi sono capaci.

Con istinto sicurissimo, il lessicologo Cortelazzo sa giocare sulle differenze semantiche tra i diversi italiani regionali settentrionali e meridionali. Chi non sorride quando commenta l'uso di zitella nella novella Elena di Marotta: «D'accordo, il recente abbassamento dell'età matrimoniale è un fatto reale, statisticamente provato" ma dichiararsi malinconicamente zitella prima dei venticinque anni pare eccessivo». Spiega poi le differenze semantiche di zitella settentrionale e zitella meridionale: «Come in grande parte d'Italia, per zitella s'intende oggi, quella che ieri era piuttosto detta zitellona, cioè la 'ragazza attempata, anzi che no, e per la quale comincia a passare l'età di maritarsi' come scrivevano i nostri cari lessicografi dell'Ottocento, mentre al 5ud zitella è semplicemente (ripetiamo le ineccepibili corrispondenze del grande purista Basilio Puoti)'la 'fanciulla pubere, la fanciulla grande e da marito'».

Tipica è anche la reazione a una g1ossa etimologica nel giornale. Per il vocabolo veneto ganzèga 'festa a conclusione di un lavoro collettivo' Cortelazzo par1a di "origine sconosciuta" seguendo il cauto giudizio di Prati nelle sue Etimologie venete Un lettore, sotto il titolo La ganzega desta dubbi propose l'etimologia *gaudeatica. Sotto il titolo In dubiis abstine, Cortelazzo difende la sua posizione elencando alcuni principi che sono da iscrivere nella memoria di ogni etimologo. Parlando del rigore della ricerca dice: «e in cento e più anni di elaborazioni teoriche ha stabilito quali sono requisiti indispensabili per fare o non fare di una fantasiosa intuizione, una attendibile etimologia. Prima regola, la coerenza formale, seconda regola, la plausibilità dei significati di partenza e di arrivo, cioè le esigenze semantiche, terza regola, rispetto della cronologia, quarta regola la distribuzione geografica». E finalmente la conclusione di Cortelazzo che illustra il suo severo procedere etimologico: «Ora, se anch'io l'ho respinta» (si riferisce alla ricostruzione ipotetica *gaudeatica che risale già a Ernesto Marchesini nel l887) «non è per ariostesca adesione al comportamento di Turpino ma perché i dubbi erano più forti delle certezze e nella rubrica ospitata in questo giornale cerco di divulgare, se possibile, risultati sicuri». I dubbi si riferiscono alla cronologia e alla documentazione cinqucentesca che non permette senz'altro un etimo latino. Finisce Cortelazzo secondo la sua tipica attitudine: «Come dicevano i Latini? in dubiis, abstine. Ed io mi sono astenuto, seguendo, forse più pavidamente che prudentemente, il loro consiglio».

Non renderei però il dovuto onore a un moderno lessicologo se non aggiungessi un altro aspetto che vale non solo per un lessicologo, ma forse, in generale, per ogni scienziato: la disponibilità al sacrificio e alla rinuncia. Chi, giorno dopo giorno, dal mattino presto fino a tarda sera siede e lavora alla propria scrivania, ha bisogno dell'aiuto e della comprensione della sua famiglia, che lo accompagna e lo comprende in questa vita per la scienza. So quanti sforzi deve compiere sua moglie prima di riuscire a smuoverlo dal suo studio e condurlo sui colli nella loro piccola casetta. Ciò riesce, però, per il fatto che anche lì vi sono dizionari che rendono possibile, anche in questi momenti di riposo, la continuazione del DELI. È necessaria uno moglie comprensiva che non si ribelli indignata se i libri occupano sempre maggior posta in sala da pranzo e lo spazio abitabile diventa sempre più stretto. Inoltre conosco pochi colleghi a cui sia riuscito di suscitare l'entusiasmo non solo degli studenti della propria disciplina e in modo particolare della lessicologia, ma anche di uno dei suoi due figli che, almeno in parte, ricalca le orme del padre.

In ogni fase del suo lavoro, nonostante la continua lotta contro il tempo per poter lavorare per la scienza, il Prof. Cortelazzo è rimasto un amico pieno di comprensione, sempre disposto ad aiutare con i suoi consigli e il suo intervento concreto. Da quando, 12 anni fa, per 1a prima volta presi contatto personale con lui per il mio dizionario, fino ad oggi, ha sempre avuto tempo per me, mi ha sempre aiutato in modo disinteressato, sempre ho trovato quella disponibilità che oltrepassa la comunione di interessi scientifici. Forse proprio questa ricchezza di qualità umane e personali costituisce una delle più preziose caratteristiche, che non sempre si ritrovano in un ricercatore di questa levatura. Proprio quando, accanto a tutte le qualità scientifiche, si aggiungono calore personale e riservatezza, alloro ritengo che tutti coloro che come me hanno avuto la fortuna di conoscere personalmente Manlio Cortelazzo, gli siano riconoscenti e desiderino esprimere oggi l'augurio che ci siano concessi ancora molti decenni in cui godere del fascino e dell'attrazione esercitata dal festeggiato attraverso la sua opera di scienziato, attraverso la sua vicinanza di amico.


* Testo dell'intervento di Max Pfister in occasione della presentazione del volume Linguistica e dialettologia veneta. Studi offerti a Manlio Cortelazzo dai colleghi stranieri (a cura di Günter Holtus e Michael Metzeltin, Tübingen, Narr, 1983), Padova, Palazzo Maldura, Aula H, 19 dicembre 1983.
Un sentito ringraziamento va a Max Pfister per aver acconsentito alla pubblicazione in questo sito del suo intervento.