Le interruzioni per gli applausi, il cenno a Napoli che scalda il cuore dell'uditorio, la compostezza caratteristica dell'anziano gentiluomo, figlio di un avvocato liberale. I tratti rilevati dai cronisti nel primo discorso di Giorgio Napolitano da presidente della Repubblica sono quelli misurabili col fiuto degli esperti di cose politiche. Ben altri, e più raffinati, quelli che può raccogliere chi le parole del presidente è abituato ad analizzarle da tecnico. Il linguista Michele Cortelazzo e la sociologa Arjuna Tuzzi, docenti dell'Università di Padova, martedì scorso avevano presentato un curioso studio sui discorsi di fine anno dei capi di Stato, rilevandone analogie e differenze. Gli stessi ricercatori hanno ora inserito a computer le parole di Napolitano nel suo primo discorso presidenziale. E le hanno confrontate con quelle dei discorsi di insediamento di chi lo ha preceduto. Risultato: il discorso d'apertura del nuovo capo dello Stato ha fatto riemergere un insieme di termini-chiave consueti anche negli indirizzi dei predecessori. Termini come giustizia, libertà, vita, Italia, patria, Paese e dovere sono, insieme a un'altra decina di parole, comuni a tutti i i discorsi di insediamento e puntualmente ripetuti da Napolitano. Il quale, tuttavia, ha «personalizzato» il proprio con un piccolo insieme di termini tipici, che promettono di diventare il motivo conduttore del suo settennato: da concordia a coesione, da Lorenzo Tomasin «Corriere del Veneto», martedì 16 maggio 2006, p. 2 |