Michele Cortelazzo, professore dell'Università di Padova, è al centro di un dibattito che coinvolge stampa nazionale ed estera. «L'inglese ci invade», e il Times risponde | |
Fascino esotico della parola | |
di Roberta Voltan Dall'università di Padova alle pagine del più prestigioso quotidiano inglese. Dalle stanze del Bo alle cronache del Times, passando per Il Corriere della Sera. Michele Cortelazzo, docente di grammatica italiana, ancora stenta a crederci. Davanti ai suoi occhi quel quotidiano (e che quotidiano!) che lo ha promosso addirittura in prima pagina, dedicando uno spazio di tutto rispetto alle sue riflessioni sull'irruzione dei "forestierismi" nella lingua italiana. UN ONORE che il professore, che pure si è affermato come uno dei più autorevoli linguisti di "casa Italia", si è conquistato quasi per caso: complice uno strano e per lui fortunato gioco del destino. Una parabola mediatica che, per una volta, non ha seguito i percorsi ormai troppo rigidi che regolano la "produzione" delle notizie. Tutto è cominciato domenica scorsa, quando il Corriere ha interpellato il linguista in occasione del lancio promozionale della nuova collana di corsi di inglese, in omaggio con il quotidiano. Il Times ha "carpito" la notizia creando attorno alle parole di Cortelazzo un piccolo caso. «Un docente italiano ha lanciato l'allarme sull'infiltrazione delle parole inglesi nel suo linguaggio nazionale», dice il giornalista, che tenta di spiegare ai suoi connazionali come e in che modo l'inglese «abbia imbastardito il linguaggio di Dante». Riprendendo il linguista padovano, racconta di come ormai free press abbia scalzato "giornale gratuito", semplicemente perchè più breve, o di come, a volte, anche in presenza di una traduzione efficace, prevalga «il fascino esotico della parola straniera che, se usato a sproposito, denota provincialismo». Insomma, ben vengano le parole inglesi, ma solo quando «si conosce la lingua che si sta utilizzando» e «non si esagera con i vezzi». L'autore dell'articolo approfitta dell'occasione per svelare ai britannici che non masticano l'italiano alcuni dei tanti termini inglesi che il Belpaese ha ormai fatto propri. Il caso sollevato dall'ignaro Cortelazzo già ha suscitato una certa attenzione. Ieri, sempre dalle pagine del quotidiano inglese, ecco comparire Sarah Vine, che nella sua rubrica settimanale risponde al professore italiano, meravigliata dal fatto che questa volta siano gli italiani, e non i soliti cugini d'oltralpe, a lamentare l'invasione dell'inglese. La gironalista anglosassone, che vive a Torino, racconta di come gli italiani attribuiscano alle parole che arrivano da Oltremanica significati del tutto nuovi. Così per esempio, racconta, a Sud delle Alpi la parola «lifting» non ha nulla a che vedere con la ginnastica. Insomma secondo la Vin e, piuttosto che nascondere la lingua italiana, i neologismi importati dall'inglese potrebbero fornire una chiave di lettura. Il dibattito è aperto. C'è già chi spera che tutta questa attenzione mediatica possa contribuire a riportare in auge la riflesisone sulla lingua. I partigiani del trend e quelli della tendenza, i sostenitori del flop e quelli del fiasco, sono chiamati a entrare in campo: ciscuno con la propria voce, ciacsuno con le proprie motivazioni.
«Il Padova», mercoledì 11 novembre 2006, p. 41 | |