ROMA. I linguisti sono pressoché concordi, con in testa dell'Accademia della Crusca, sulla necessità di inserire la frase «La lingua italiana è la lingua ufficiale della Repubblica» nell’articolo 12 della Costituzione. «Mi sembra un’indicazione più che opportuna», ha commentato il professor Francesco Sabatini, presidente della Crusca, la secolare istituzione fiorentina incaricata di custodire la purezza della lingua italiana. Sulla questione due mesi fa l'Accademia della Crusca, nella persona del suo presidente, della sua vicepresidente Nicoletta Maraschio e del socio Vittorio Coletti, è stata ascoltata in un'audizione dalla commissione Affari Costituzionali della Camera. «Già in quella sede — ha ricordato Sabatini — abbiamo espresso parere favorevole alla proposta apprezzando l'enunciazione di un principio che richiama l'attenzione di tutti i cittadini, di tutte le istituzioni e della scuola affinché si conosca, si studi e si usi bene la nostra lingua». Il professor Sabatini, docente di Storia della lingua all’università La Sapienza di Roma e autore di un noto vocabolario, evidenzia come «di fatto, di diritto e per storia» la lingua italiana è un patrimonio comune di tutta la nazione. Tuttavia la sua costituzionalizzazione è «un giusto richiamo all'importanza» della lingua stessa. Sabatini respinge poi le preoccupazioni di quanti sostengono, nel mondo politico, come ad esempio Rifondazione Comunista, che una simile costituzionalizzazione sarebbe un ostacolo verso l'integrazione degli immigrati. «È una preoccupazione infondata — replica il presidente dell'Accademia della Crusca — perché la migliore conoscenza dell’italiano favorirà l'integrazione. Lo studio dell'italiano equivale, ad esempio, per gli immigrati all'assistenza sanitaria: quindi contribuirà al loro inserimento, non certamente a renderlo più complicato». Parere positivo alla costituzionalizzazione della lingua italiana è stato espresso anche dal professor Luca Serianni, ordinario di Storia della lingua italiana all'università La Sapienza di Roma, socio della Crusca e direttore del periodico “Studi Linguistici Italiani”. «Mi pare una proposta – ha commentato – pienamente valida. Mi -sembra giusto e doveroso esplicitare un riferimento chiaro alla nostra lingua costituzionale nella Costituzione». Di «proposta positiva» parla anche il professor Claudio Marazzini, docente di Storia della linguistica all'università del Piemonte orientale, che ha sede a Vercelli. «Mi pare una proposta positiva perché la lingua ufficiale rappresenta l’Italia e gli italiani in patria e del mondo. La lingua – spiega Marazzini – è un simbolo di identificazione che esalta la nostra identità nazionale e non è assolutamente in contraddizione con il federalismo». «Il mancato riconoscimento della lingua italiana come di quella ufficiale mi è sempre parsa una bizzarria», commenta il professor Michele Cortelazzo, docente di Linguistica italiana all'università di Padova. «La Costituzione stabilisce i colori della bandiera ma non parla della lingua italiana. Probabilmente il silenzio dei padri costituenti – afferma Cortelazzo – è dettato dal fatto che sessanta anni fa si considerava un'ovvietà scrivere che l'Italiano è la lingua ufficiale della nazione. Oggi forse non lo è più e si sente addirittura il bisogno di scrivere questa verità. Le polemiche perciò non hanno fondamento», conclude Cortelazzo, precisando tuttavia di nutrire qualche perplessità sul fronte giuridico in materia. La professoressa Valeria Della Valle, docente di Lessicografia e Lessicologia italiana all'università La Sapienza di Roma, sostiene: «È necessario conferire questa aurea di ufficialità anche alla lingua italiana, poiché dal punto di vista della nazione e della storia è l'unico elemento di coesione del nostro Paese. Fin da Dante, Petrarca e Boccaccio l'italiano è un elemento identitario dell’Italia». La proposta di legge, come è noto, è in discussione alla Camera ed è un vecchio cavallo di battaglia di Alleanza nazionale, che però ha raccolto il consenso di tutti gli altri partiti (ad eccezione di Rifondazione comunista e Lega seppure per motivi diversi). Nel suo recente intervento in Aula Roberto Menia, deputato di An, ha posto l’accento sul fatto che «nell’articolazione del linguaggio non vi è soltanto l’espressione del pensiero in termini comprensibili, ma vi si condensano esperienze, relazioni, contatti, abitudini, vicende, aspirazioni e creazioni che, nel loro insieme, rappresentano l’evoluzione secolare di una comunità cioè la sua identità nazionale. La lingua non si limita ad essere un addendo del processo aggregante di una nazione, ma la storia della lingua consente di ricostruire la storia dello spirito che informa di sé l’ascesa di un popolo verso la nazione. Data la stretta connessione tra lingua e nazione, possiamo affermare che, dove c’è l’unità linguistica, c’è unità nazionale». «L’Italia è uno dei pochi Paesi occidentali – ha proseguito Menia – in cui la Costituzione non prevede espressamente il riconoscimento della lingua nazionale come lingua ufficiale dello Stato ed è questo un vuoto che va colmato per una pluralità di motivi. Nel secolo della globalizzazione vanno mantenuti e rafforzati gli elementi identitari che danno un senso comune alla vita della nazione. Ecco perché, proprio in questa fase, ritengo indispensabile riconoscere il ruolo della lingua italiana quale elemento costitutivo identificante della comunità nazionale, a prescindere dalle diversità localistiche. La sottolineatura dell’unità linguistica non è certo, peraltro, in contrasto con la conservazione e la valorizzazione delle tradizioni e delle parlate locali e minoritarie, che vengono, tra l’altro, tutelate dall’articolo 6 della Costituzione, nonché da una specifica, anche recente, normazione ordinaria. Segnalo infatti – ha aggiunto il deputato di An – che, proprio nella parte antimeridiana della seduta, è stata ricordata, in più occasioni, la legge sulle lingue minoritarie approvata nel 1999».
«L’evoluzione stessa della nazione e la sua proiezione nel tempo a venire, anche e soprattutto tenendo conto delle dinamiche demografiche e delle spinte migratorie, devono trovare un collante ed una ragione propulsiva nella lingua. La
lingua comune diviene elemento fondamentale di integrazione. Quanto più la lingua italiana, con il suo portato di valori civili, morali e religiosi, sarà strumento di unione e integrazione, tanto più potremo guardare con fiducia e speranza al futuro dell’Italia e delle prossime generazioni di italiani. La vitalità di una lingua – ha dichiarato Menia – è la testimonianza della vitalità di una nazione. Va ricordato, in proposito, quanto scriveva un nobile padre della patria,
Gioberti: “Ricordi a chi cale della patria comune, che secondo la comune esperienza, la morte delle lingue è la morte delle nazioni”».
«Secolo d'Italia», venerdì 15 dicembre 2006, p. 6 |